VOGLIAMO FINIRLA CON LA STORIA CHE LA PACE STA DALLA PARTE DI PUTIN?
Il diritto internazionale, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la Carta delle Nazioni Unite, le Costituzioni dei singoli Stati, perfino il Trattato Nato mettono al primo posto dei valori fondamentali la pace

Le guerre possono trascinarsi per anni, ma finiscono davanti a un tavolo per le trattative: lo si sa dal primo giorno dello scontro, quando era già in divenire, ma non era ancora guerra. La prima mondiale è stata collegata direttamente con la seconda da quando gli storici si sono accorti – un secolo dopo – che il consenso popolare del 1933 a favore del nazionalsocialismo hitleriano era frutto anche della durezza delle clausole imposte alla Germania dai vincitori della Grande Guerra.
Gli esseri umani, anche di governo, sono mammiferi fragili e quando hanno paura si rifanno all’animalità comune: il cane, che è un lupo evoluto, ha due soluzioni, abbaiare per fare teatro oppure studiare da rotweiler e recuperare l’aggressività primitiva. Nel 2023 la parte socializzata e creativa può perdere il controllo democratico informato e riscopre l’arte della guerra che, per officiare il suo mestiere di morte, trova aiuto nella ricerca universitaria collegata con le imprese belliche e nelle fabbriche che producono armi sempre più sofisticate, adatte a “far soffrire il nemico”.
La creazione del nemico è una perversione che nel 2023 dà vergogna: la sua esistenza prescinde dalla volontà vendicativa del singolo cittadin, che: ha delegato il suo Stato, il suo Parlamento, il suo governo. In Italia ci sono le garanzie repubblicane: l’esercito è soggetto al potere civile e solo per l’emergenza estrema il Presidente della Repubblica riunisce il Consiglio Supremo di Difesa. Ma i principi non sono sovvertibili, altrimenti l’esistenza del male non sarebbe un optional filosofico o, per i pessimisti, l’invito alla resa. Il nemico lo si crea nel momento in cui non si cerca di neutralizzarlo inseguendolo nella sua “natura”: la risposta violenta alla violenza è un errore tattico e strategico. Nel diritto privato farsi giustizia da sé sottrae alla giustizia la legittimità della pena.
Nel terzo millennio e parlando di Stati, non è pensabile che i movimenti che precedono lo schieramento di truppe per un’invasione oltre confine non siano visti tempestivamente dagli apparati di sicurezza dei paesi limitrofi. Ma, se si aspetta lo stato di fatto e l’invasione russa, la denuncia della violazione del diritto internazionale all’Onu e l’intervento inquisitorio immediato dell’autorità europea sono pure distrazioni di massa. Non si dimentichi che i rapporti con la Russia fino al 24 febbraio 2022 erano formalmente amicali e pattizi, tutt’altro che. disinteressati e sostanzialmente ambigui, essendo ben conosciuto il dispotismo del leader russo al governo della Russia dal 2.000. Sergio Romano sul Corriere della Sera ha ricordato che tra Alleanza atlantica e Unione Sovietica nel 1997 era stato siglato un “atto fondatore” che statuiva che “Nato e Russia non si considerano nemiche” (aggiungendo che “in seguito la Nato ha svolto una costosa campagna acquisti di tanti Paesi portandoli a giocare contro la Russia e arrivando ai confini del suo territorio”: putiniano anche lui?). In realtà la benedizione alla reazione degli aggrediti ha accettato “la ragione del più forte” che non ammette interlocuzione alla ricerca di pace.

Da troppo tempo una grave crisi politica pervade l’area delle democrazie europee (e non solo), a partire dal rifiuto dello stato di diritto da parte di qualche paese dell’Unione. I diritti democratici hanno la priorità soprattutto quando è in crisi la sicurezza: perseguendo l’onda situazionale non c’è spazio neppure per creare strategie convenienti agli interessi comuni e coerenti ai principi della legalità internazionale. Una guerra era per caso un antidoto? Dopo la pandemia e le divisioni interne, a partire dalla Brexit, la guerra andava esorcizzata d’urgenza. Può costituire un inciampo perverso. Disumanizza.

Non apprezzo che mi si ricordi – in quanto pacifista consapevole di chi invade e chi è invaso – che le critiche alla guerra con analoga leggerezza dimenticano che l’Europa “tollerò” l’ascesa di Hitler. Cari politologi, sono proprio io a sostenere la lezione della storia: il fascismo e il nazismo sono figli della prima guerra mondiale e artefici della seconda perché non poterono riparare le fratture con la ratifica della vittoria di una parte e la sconfitta dall’altra: mettere tra parentesi la disumanizzazione di una guerra lascia cicatrici che suppurano. Se si dovesse malauguratamente scivolare in una terza guerra mondiale, ne sarebbe causa la mancata e immediata prevenzione dell’avvertimento dato da un papa che per la prima volta (quando ancora la cattolicità ammetteva la guerra giusta in linea di principio) bollò (deriso dai contemporanei) la guerra come inutile strage. Invece la “Grande Guerra” è piaciuta così tanto che la si replica: sostituite i cannoni con i missili, il modello è lo stesso. Solo che essendo oggi in presenza del rischio nucleare – controllato, se gli eroici tecnici dell’Aiea ce la fanno – evoca i dubbi sul buon senso dei governi che vennero ad un altro papa (che del coraggio dei capi aveva fatto esperienza quando indusse Kennedy e Kruscev a rinunciare alla sfida senza perdere la faccia), che definì la scelta nucleare alienum a ratione, roba da matti. Oggi dovremmo essere più evoluti. Disgraziatamente l’evoluzione derivata dall’uso delle incolpevoli menti degli scienziati (e dagli interessi delle ricerche finanziate da interessi di potere e di denaro) è in grado di produrre armi di distruzione di massa, ma anche armi leggere, droni, strategie elettroniche e perfino selettive dei corpi nemici. Dovrebbe esserne divulgata la conoscenza prima che la scuola riproponga l’educazione militare. Il governo Meloni è il più militarista nella storia della Repubblica perché ne fa ideologia e punta sulle scuole, favorito da crisi di violenza giovanile diffusa dopo la pandemia e – diciamolo – la guerra che legittima la violenza.

Tornerà l’obiezione di coscienza? c’è da pensarlo, da quando la Svezia ha ripristinato la leva militare e i paesi nordici sono in allerta. In Italia ancora no, ma l’ipotesi del volontariato militare è già stata formulata in ambito governativo. Il Movimento Nonviolento ha mantenuto i contatti – e le denunce – con gli obiettori ucraini e russi: in Ucraina la legge è stata sospesa e gli obiettori resistono all’obbligo di presentarsi ai centri militari secondo le regole della legge marziale e della mobilitazione generale. Sono provvedimenti che la Russia si è ben guardata dall’adottare ma che, come in Ucraina, non cessa la propaganda ad arruolarsi e ha indotto alla fuoruscita dal paese – informazione del NYT – migliaia di renitenti espatriati. Torna il ricordo della dissidenza di massa in America ai tempi della guerra del Vietnam. Non sarà bella la contestazione delle istituzioni, ma gli obiettori esercitano un diritto esemplare e proprio le situazioni di belligeranza attiva ne mettono in luce l’importanza: lo Stato non può obbligare a obbedire a ordini che la coscienza individuale giudica irricevibili: si tratta di uccidere i propri simili, come il nemico farà con te e la tua gente. Perché volere “il sangue” quando ormai potrebbero bastare le armi elettroniche a mettere in ginocchio il nemico accecando le amministrazioni, le banche, le ferrovie di un paese “nemico”?
Perché la sovranità dello Stato (Einaudi mise in guardia: “occorre fugare dal cuore degli uomini l’idolo immondo dello stato sovrano”) conosce il limite dell’adeguamento ai diritti. I militari sono i più competenti a giudicare le guerre e le tecniche belliche: da Pentagono ai generali italiani (non solo il gen.Mini, anche il gen. Carlo Jean) ostili a Putin e favorevoli al sostegno a Zelensky, suggerirebbero ai politici qualche cautela: la guerra può durare a lungo, ma la fine è scontata. Per questo sconcertano la decisione dell’Europa di usare i soldi del Pnrr per fornire armi all’Ucraina (votata anche dalla sinistra, l’investimento tedesco di 100 mld. per riarmare la Bundeswehr, l’abbandono della progettazione dell’esercito europeo sostituita dalla Eu Rapid Deploiment Capacity pronta alla sua prima esercitazione in Spagna quest’autunno, la triangolazione Inghilterra-Giappone-Italia (Global Combat Air Program,-Goal per produrre un caccia di sesta generazione. Per quale futuro?
Preoccupano le prospettive di esportare la Nato nel Sudest asiatico (il gen. Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, è stato in Corea e in Giappone e il presidente del Giappone è venuto due volte in Europa e contattato i governi). La Cina è un problema grande più della Russia e gli Usa sono molto attenti all’indipendenza di Taiwan. Che la situazione sia giudicata dalla Nato simile a quella ucraina non rallegra.

I giovani europei sono distaccati dal passato: Vera Polikovskaja, figlia di Anna – a proposito, non è che si sia fatto molto ai tempi della Cecenia e nemmeno per l’assassinio di Anna – è la dimostrazione di quanto siano straniati i giovani. Se il 9 maggio la Russia (di Putin, ma non solo) celebra la vittoria del popolo sovietico sul nazifascismo, Vera non riesce più a definirla una “festa”: la Russia applica da sempre il patriottismo nell’educazione ma è inutile che si dispiaccia dell’entusiasmo con cui i genitori guardano oggi i loro bambini vestiti in divisa da soldati: anche noi li portiamo tutti contenti il 4 novembre a vedere i carri armati…. Intanto lei forse ingenuamente rischia di essere inclusa tra quelli che Putin chiama i filonazisti. I giovani che non c’erano, sanno poco e possono non essere in grado di affrontare le conseguenze fattuali della condizione storica in cui vivono: abitano paesi democratici ma non conoscono i limiti del diritto internazionale nelle situazioni di guerra (come quella russo-ucraina, estensibile da subito ad analoghe esperienze) e delle possibili violazioni delle norme nella belligeranza: anche per gli esperti (Alberto Caracciolo) le parti in guerra possono mentire e violare i diritti anche se hanno giurato di rispettarli. Se per tutte le autorità internazionali il primo valore è la pace, è pura ipocrisia citarla se si è disposti a disonorarla. A metà Ottocento in Russia un gruppo di ufficiali scrisse allo zar per contestare la slealtà delle armi da tiro e degli esplosivi e difendere l’arma bianca della tradizione: allora la guerra era un dato sociale accettato e nessun paese si vergognava del proprio Ministero della guerra. Dopo due guerre mondiali e milioni di morti, dopo Hiroshima – sede del G7, scelta immorale se ”i Sette” pensano a ulteriori conflitti da armare -, la guerra è condannata a non essere più bella e non contiene più alcun onore: si è detto “mai più”. Oggi l’onore oggi si trova nel rispetto delle convenzioni democratiche, non nel possesso di armi sempre più pericolose. L’vittoria – ricordate Vincenzo Consolo I vincenti… ma li avete visti? – resta sconosciuta ai soldati dell’ultima battaglia, si formalizza nella trattativa, senza incertezze se ha da essere umana o punitiva.
Il “progresso”, ormai attuato in tutti i paesi del mondo, cancellando i Ministeri della Guerra ha compiuto un avanzamento civile non solo simbolico: dire che la Difesa stessa sarebbe inutile se nessuno “offendesse” è ancora un paradosso; per me solo fin tanto che la democrazia necessiti garanzie dalle insidie esterne, talora interne e debba intervenire nelle missioni di peacekeeping sotto il controllo delle NU in parti del mondo minacciate da conflitti pericolosi.

In concomitanza con la guerra Ucraina-Russia in Sudan c’è guerra civile: nemmeno le fazioni vanno nel sottile con le armi e mentre il popolo sudanese si era impegnato seriamente in elezioni democratiche, due aspiranti dittatori militari hanno aperto una guerra reciproca, anche aerea, contro i loro cittadini, vittime. Il mondo libero europeo ha ritirato tutti gli ambasciatori, in attesa che Arabia. Saudita e Usa – il materiale energetico del Sudan, da poco scoperto, quindi da sorvegliare – riescano a negoziare una pacificazione, mentre la capitale è allo stremo, la gente è in fuga e i golpisti proseguono le violenze.
L’informazione dei media – così come l’educazione scolastica – trascura i problemi internazionali, mentre si sa che guardando lontano si capiscono molte più cose da vicino. L’ignoranza lascia spazio all’indifferenza: perfino l’ipotesi di una terza guerra mondiale produce in questi giorni una paura priva di reazione. I paesi europei – che non sono riusciti a creare un esercito europeo condiviso per la sicurezza del continente – confidano nella produzione di nuovi e più avanzati strumenti di difesa, come il caccia di sesta generazione concordato da Gran Bretagna, Giappone e Italia, e dà vita all’Eu Rapid Deployment Capacity che in autunno terrà la prima esercitazione in Spagna. I cittadini europei hanno diritto di essere informati sulle prospettive: si faranno altre guerre?
Moralistico, dunque, chiedere se i miliardi previsti in tutta Europa per armare la sicurezza non sarebbero più efficacemente spesi – in ordine alla finalità securitaria – se investiti nel benessere dei paesi in cui la condizione di povertà alimenta le tensioni politiche, gli estremismi, le repressioni? Una politica degli aiuti può intercettare situazioni critiche per ragioni diverse in Sudan, Congo, Myanmar, Libano, Gerusalemme, insieme con i problemi dell’immigrazione forzata, del cambiamento climatico, della povertà diffusa, dei mancati diritti al cibo, all’acqua, alla salute, all’istruzione. Francesco – il papa che non riesce a ripetere il miracolo di Cuba del suo predecessore – trae le conclusioni della sua denuncia: C’è, senza dubbio, un crescente squilibrio nel sistema economico globale. Infatti le distruzioni delle guerre forniranno opportunità alla ricostruzione (e alla speculazione, alla corruzione – la ‘ndrangheta è già pronta), ai piani Marshall e al restauro dei bilanci disastrati dalle spese belliche. L’accusa di simpatizzare con Putin o di antipatizzare con gli Usa è tutta qui: la pretesa che la buona politica respinga quella cattiva delle decisioni occhio per occhio non è partigiana, ma pretende di scegliere la qualità degli investimenti: investire nelle armi favorisce l’escalation dei conflitti, ma può anche determinare la vittoria e impone la pace; tuttavia resta il conto da pagare delle vendette che seguiranno all’interno del paese “malpacificato”. L’identità nazionale ucraina, riconosciuta ai tempi della rivoluzione del 1917, dopo un secolo di lotte per l’indipendenza storicamente parlate in russo, oggi, che sta completando la sua appartenenza all’Europa, può incontrare difficoltà nel distinguere i russoparlanti dai russofili. dopo le furibonde battaglie e i morti.

Quando impareremo dalla storia che le vie della violenza, dell’oppressione e dell’ambizione sfrenata di conquistare terre non giovano al bene comune? Quando impareremo che investire nel benessere delle persone è sempre meglio che spendere risorse nella costruzione di armi letali? Quando impareremo che le questioni sociali, economiche e di sicurezza sono tutte collegate una con l’altra? Quando impareremo che siamo un’unica famiglia umana, che può veramente prosperare solo quando tutti i suoi membri sono rispettati, curati e capaci di offrire il proprio contribuito in maniera originale? Finché non arriveremo a questa consapevolezza, continueremo a vivere quella che ho definito una terza guerra mondiale combattuta a pezzi”. Il papa na consapevolezza realistica sembra lontana dall’attenzione dell’Occidente: altri paesi del mondo, lo dicano o no, ci disprezzano e odiano: potremmo risolvere problemi che arrivano alla guerra ma sono economici e contraddicono le (nostre e loro) spese per armare il mondo. Ormai anche i paesi poveri ne comperano e fabbricano, pur avendo bisogni di sopravvivenza per usarle in lotte che noi chiamiamo tribali e impediscono lo sviluppo democratico di altri.
Carlo Rovelli, noto fisico, ha definito il ministro della Difesa Guido Crosetto piazzista d’armi e qualcuno si è offeso. Anch’io diedi la stessa qualifica a Spadolini: è semplicemente vero. Non è necessario essere pericolosi antimilitaristi per immaginare che sempre meglio il pane e le rose. Ma la politica calcola gli interessi di un settore in cui non esiste cassa integrazione: Leonardo è un effetto, non una causa. Gli affari sono la priorità? con le armi si guadagna? se non le impieghi, passano di moda? Per questo le guerre sono necessarie? Gli antichi dicevano che servivano ad alleggerire il peso della terra. Qualche briciolo di egoistica saggezza contribuirà a disaffezionarci dall’uso delle armi per chiudere il cerchio delle innovazioni nell’arte della guerra?
Infatti le cose cambiano nel tempo: oggi le guerre non si dichiarano più, avvengono. Si può fare a meno di chiuderle: la guerra di Corea teoricamente è ancora aperta e in Vietnam passarono due anni tra l’armistizio e la stipula dell’accordo. Sono tornati i lanzichenecchi, i soldati di ventura scomparsi dopo Giovanni dalle Bande Nere e dopo la legione straniera di Gary Cooper: non c’è solo la Wagner nel futuro, se gli eserciti regolari staranno in ufficio a studiare il tragitto dei missili e dei droni, individuati intelligentemente i bersagli anche umani da centrare. Era semplice essere Davide quando le armi sono fionde e spade.

Le cosiddette utopie della nonviolenza (la nuova “virtù” filosofica scoperta alla fine delle seconda guerra mondiale) e della pace sono in relazione: la prima è “mezzo”, la seconda “fine”. La pace fu pensata “perpetua” e nell’aspettativa di Emmanuel Kant, in quanto programmabile, è affidata ai governi futuri. Senza un’opposizione nonviolenta, le solite nobili ragioni indurranno a riconoscere come nemico il sodale dello stesso club: non sarebbe neppure il caso di scomodare l’odio, se le armi fossero già partite a fare vendetta. Le guerre moderne hanno già avuto aggettivazioni cattivanti, ma sconvolgenti: preventive, umanitarie, a difesa dei diritti umani: sono uscite dagli ambienti militari democratici, i primi che, ben conscendo professionalmente la guerra, ne hanno paura e vorrebbero che fossero risolte con altri mezzi. Infatti la guerra viene sempre costruita da chi ne persegue le finalità. Spesso, intenzionalmente, da più parti. Tranne che da chi ne diventa la vittima.
Il caso in oggetto contrappone di fatto l’autonomia dell’Ucraina a quella dell’Europa più che alla Russia, la cui tracotanza è messa alle corde ma continua ad essere una potenza che arriva fino al Pacifico, mentre l’Europa sta andando alle elezioni del 2024 impoverita finanziariamente, disunita, contraddittoriamente ricorrendo al mercato energetico di paesi dispotici e irrispettosi dei diritti come l’Egitto di Giulio Regeni. Mentre l’Europa è la nostra reale sovranità, riparo dai nazionalismi illiberali, nuova “patria” di chi cura i diritti. “Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche”, come disse il 9 maggio 1930 Robert Schuman nella Dichiarazione fondativa. Stiamo davvero disumanizzandoci? E’ forse un problema questo per voi che strumentalizzate il filoputinismo contro i pacifisti, in attesa che sia Biden a dare il contrordine e non vi accorgete di andare contro i vostri stessi interessi?

Giancarla Codrignani.


Giancarla Codrignani

Giancarla Codrignani è docente e giornalista. Si è sempre interessata di analisi politica. Esperta di problemi internazionali e di conflitti, è stata per tre legislature, nel gruppo storico della Sinistra Indipendente, parlamentare della Repubblica, impegnando la sua competenza nelle scelte politiche pacifiste e – laicamente – di area cattolica. Ha partecipato al movimento femminista e ha continuato ad essere coinvolta nelle problematiche di genere nell’amministrazione di Bologna e nell’Associazione Orlando. Scrive su Noi Donne e pubblica saggi e interventi politici su giornali e riviste anche on-line.